Il fico d’india e il geco: i simboli del Salento

Le campagne salentine sono innervate da muretti a secco e punteggiate da dolmen e pajare, dove fanno capolino i simpatici gechi e le monumentali pale dei fichi d’India.

Da dettagli del paesaggio a elementi scenografici, il geco e il fico d’India sono diventati coprotagonisti della cultura salentina e simboli di una terra arsa e selvaggia da salvaguardare e recuperare in tutta la sua bellezza.

Geco, da mostro a portafortuna del Salento

La crescente antropizzazione e l’impiego di diserbanti avranno anche ridotto il numero dei gechi, ma per fortuna non sono riusciti a eliminare questi animaletti tanto schivi quanto utili all’uomo, preziosi per l’equilibrio faunistico e così speciali da attirare l’attenzione degli ingegneri della NASA.

Non c’è superficie, per liscia che sia, su cui i gechi non sono capaci di aderire saldamente sfidando la forza della gravità e ciò è dovuto alle innumerevoli lamelle delle zampe, una caratteristica che non poteva lasciare indifferenti coloro che si occupano di tecnologie aerospaziali.

I gechi sfruttano le forze di Van der Waals per aderire alle superfici senza ventose e arrampicarsi sui soffitti delle abitazioni, ed è proprio qui che si rivelano nostri validi alleati in quanto si nutrono di zanzare e altri insetti che tormentano le notti estive. Sarebbe una ragione in più per non ammazzare i gechi e invece c’è ancora chi ne dà la caccia per tutta la casa. Se anticamente si credeva che i gechi fossero velenosi e addirittura pericolosi per le donne incinte, oggi sono venerati come divinità in Polinesia e considerati dei portafortuna in Salento.

Per i salentini il geco ha assunto una valenza simbolica pari soltanto al ragno tarantolato, tanto è vero che sui tamburelli della pizzica la sagoma del geco ha affiancato o sostituito quella della tarantola. Vagando per il Salento si legge “gecu” in ogni dove, e a questo simpatico e apotropaico sauro si dedicano insegne di centri vacanza e associazioni culturali.

Sono tre le specie di geco diffuse nelle campagne salentine, una delle quali ha il nome scientifico di Tarentola Mauritanica. Anche se non è velenosa e non morde, questa tarantola muraiola è stata associata in passato al celebre fenomeno del tarantolismo. In effetti l’animale il cui morso provocava il tipico stato convulsivo da curare al ritmo di pizzica era identificato a seconda della zona con la tarantola o appunto con il geco comune, la tarantola muraiola dal corpo tozzo e corazzato.

Le altre due specie, il geco verrucoso e quello di Kotschy, frequentano maggiormente gli ambienti rurali, ma tutti quanti condividono gli innumerevoli nomi dialettali che variano a seconda della zona: “lucertole fracetane”, “lucertone libbrose” e “stijone” sono fra i più comuni, mentre a Cannole li chiamano “zumiti”.

La lista dei nomi dialettali è caleidoscopica almeno quanto gli stessi gechi sanno essere camaleontici. Numerose e fantasiose sono anche le leggende che circolano sul conto di questi sauri, fra le quali la diceria secondo cui sporcherebbero le lenzuola in modo indelebile o quella che li ritiene capaci di procurare gonfiore alle mani.

Fico d’India, quando la resistenza scolpisce il paesaggio

I giardini delle case salentine e i bordi delle strade di campagna sono il regno d’elezione dei fichi d’India, che si direbbe in Salento condividano con i gechi sia l’habitat naturale sia la forza simbolica.

I fichi d’India sono piante succulente provenienti dal Messico e che crescono bene in terre soleggiate come il Salento, ma ormai il binomio di muretto a secco e fico d’India è così diffuso e radicato da assurgere a nota distintiva del paesaggio salentino. Lo sanno bene i contadini che in estate si rifocillano con i gustosi frutti, ma lo hanno notato anche i turisti che vedono comparire le caratteristiche pale in qualsiasi angolo verde e persino sulle scogliere e sulle scarpate impervie.

Le spine che ricoprono le pale e i frutti fanno dei fichi d’India delle piante poco apprezzate da chi non sa come maneggiarle, ma in pochi sanno che anche le bucce e le pale più tenere sono commestibili. Dai frutti si ricavano succhi, confetture e liquori, mentre le bucce si possono gustare fritte.

Complici i recenti cambiamenti climatici e demografici, la FAO ha incluso i fichi d’India tra i cibi del futuro. Per i salentini queste piante sono molto di più, perché sono parte integrante dei paesaggi e incarnano il vecchio che resiste all’avanzata del nuovo.

Molto resistente al caldo e alle avversità climatiche, il fico d’India attecchisce facilmente anche in terreni poveri. Del resto è sufficiente interrare i due terzi di una pala di almeno due anni debitamente cicatrizzata, perché cresca un’altra pianta. Per giunta il fico d’India non richiede particolari cure e si sviluppa senza l’ausilio di prodotti chimici.

È proprio questa attitudine selvaggia che caratterizza la natura incontaminata di tanti luoghi del Salento, in particolare delle coste protette da riserve naturali: posti in cui il geco e il fico d’India si sono ritagliati un ruolo da protagonisti e oggi campeggiano sulle insegne, sui souvenir e sui tamburelli che fanno ballare i tarantolati fino all’alba.

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